di settant’anni di ricchezza
1945-2015:
Chiamata «pioggia d'acciaio» in Giappone, la battaglia di Okinawa infuriò sulle isole fra il 1 aprile e il 23 giugno 1945. Solo dopo 82 giorni di violenti combattimenti le forze d'invasione statunitensi riuscirono a conquistare l'arcipelago: oltre a 77000 soldati giapponesi e 14000 soldati americani, morirono anche 150000 abitanti di Okinawa - quasi un terzo della popolazione.
L'arcipelago di Okinawa rappresentava per gli Stati Uniti un'ideale base avanzata da cui preparare l'attacco finale alle Isole del Giappone distanti soltanto 550 km., e per questo motivo fu difeso con feroce determinazione dalla guarnigione giapponese, decisa a ritardare il più a lungo possibile l'invasione della Madrepatria. Anziché affrontare in scontri campali le forze americane, superiori per numero e potenza di fuoco, le truppe del generale Ushijima costrinsero gli attaccanti a espugnare una dopo l'altra numerose linee fortificate. Non raramente i difensori si uccidevano piuttosto che arrendersi: nella sola base navale vicino alla città di Okinawa 4000 soldati, compreso il comandante ammiraglio Ôta, si suicidarono il 13 giugno di fronte all'inarrestabile avanzata dei Marines.
L'inferno è finito. Una bambina con una bandiera bianca si avvicina ai Marines.
Anche molti abitanti delle isole furono spinti al suicidio dai soldati giapponesi: costretti a seguire il codice d'onore dell'Esercito Imperiale e terrorizzati dalla propaganda che dipingeva gli americani come «barbari», decine di migliaia di civili uccisero se stessi e le proprie famiglie. Molti si gettarono dalla scogliera di Itoman, sulla costa sud dell'isola Okinawa-honto, nel punto in cui nel 1995 è stata costruita la Pietra Angolare della Pace, monumento in memoria di tutti i caduti nella battaglia.
La Pietra Angolare della Pace, mausoleo composto da 116 blocchi di pietra con incisi i nomi di tutti i 240931 caduti nella battaglia identificati fino a oggi: soldati giapponesi e statunitensi, abitanti di Okinawa, prigionieri coreani deportati sull'isola.
Il comportamento della guarnigione giapponese nelle settimane della battaglia è ancora oggi causa di aspre polemiche fra gli abitanti delle isole e il governo centrale di Tokyo che spesso ha cercato di negare sia le atrocità commesse dai soldati (molti dei quali infierirono contro la popolazione quando fu chiaro che la battaglia era persa) sia, soprattutto, l'ordine di uccidersi dato ai civili perché non cadessero vivi in mano ai «barbari».
Ancora nel 2007 il Ministero dell'Istruzione, Cultura, Sport, Scienza e Tecnologia fece riscrivere i libri di storia che riferivano dei suicidi ordinati dai militari: il testo autorizzato dal Ministero diceva semplicemente che «la popolazione ricevette bombe a mano dai soldati». Ne scaturì una fortissima protesta a Okinawa con manifestazioni di piazza e prese di posizione ufficiali dell'Assemblea Provinciale che costrinsero il Ministero a ripristinare il testo censurato, ma l'anno seguente lo scrittore Kenzaburô Ôe (Premio Nobel per la letteratura nel 1994) dovette affrontare una causa intentata contro di lui da revisionisti per il suo libro sulle responsabilità dei militari nella morte degli abitanti di Okinawa: il tribunale di Osaka diede ragione a Ôe, facendo notare che i suicidi di massa si verificarono soltanto nelle isole dell'arcipelago dove erano presenti soldati giapponesi.
Soltanto nel 2013 il Ministero ha autorizzato la pubblicazione di libri di storia per le scuole superiori in cui viene detto con chiarezza che un terzo degli abitanti di Okinawa morì durante la battaglia ma che solo una piccola parte di essi rimase uccisa nei combattimenti mentre gli altri furono costretti a dare la morte a se stessi e ai propri familiari.